Fondo Trasporto Pubblico: prime indicazioni

L’INPS fornisce alcune indicazioni a seguito dell’adeguamento del Fondo bilaterale di solidarietà per il sostegno al reddito del personale delle aziende di trasporto pubblico disposta dal D.M. 29 agosto 2023 in vigore dal 17 ottobre 2023 (INPS, messaggio 10 ottobre 2023, n. 3548). 

Per periodi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa decorrenti dal 2 ottobre 2023, anche i datori di lavoro che occupano mediamente fino a cinque dipendenti nel semestre di riferimento  possono utilmente presentare al Fondo le domande di assegno di integrazione salariale per le causali ordinarie e straordinarie previste dalla normativa.

 

L’istanza potrà essere inoltrata, con le modalità telematiche in uso, a partire dal prossimo 17 ottobre, data di entrata in vigore del decreto di adeguamento del Fondo alla disposizioni sugli ammortizzatori sociali di cui al D.Lgs. n. 148/2015 (D.M. 29 agosto 2023).

 

Si ricorda che possono accedere alla prestazione di assegno di integrazione salariale, erogata dal Fondo Trasporto Pubblico, tutte le aziende di trasporto, sia pubbliche che private, a prescindere dal numero dei dipendenti, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa in relazione alle causali previste in materia di trattamenti di integrazione salariale ordinaria e straordinaria.

 

A decorrere dal periodo di paga in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto interministeriale (ottobre 2023) i suddetti datori di lavoro sono tenuti al versamento del contributo ordinario al Fondo Trasporto Pubblico e non sono più soggetti alla disciplina del Fondo di integrazione salariale (FIS), né al relativo obbligo contributivo.

 

Il contributo ordinario di finanziamento pari a 0,50% (di cui due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo a carico del lavoratore), è calcolato sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali di tutti i lavoratori dipendenti per il quale sussiste l’obbligo contributivo verso l’Istituto.

 

Lo stesso dovrà essere versato, in luogo del contributo di finanziamento del FIS, dalla mensilità di competenza ottobre 2023.

 

Con medesima decorrenza, quindi, l’INPS informa che sarà rimosso centralmente dalle posizioni sopra individuate il codice autorizzativo “0J” e la relativa procedura di calcolo sarà implementata al fine di recepire le suddette disposizioni.

 

CCNL Centri Elaborazione Dati: con la busta paga di ottobre nuovi minimi retributivi



Per i lavoratori del settore nuovi minimi retributivi con lo stipendio di ottobre 2023 


Con l’accordo sottoscritto il 9 marzo 2022 da parte di Assoced, Lait con l’assistenza della Confterziario e Ugl sono stati indicati i nuovi minimi retributivi che vengono erogati con la busta paga di ottobre 2023. Il contratto riguarda il personale che lavora presso: centri elaborazione dati contabili; centri elaborazione cedolini paghe; centri elaborazione data entry; centri elaborazione dati per amministrazioni pubbliche; centri elaborazione servizi per il commercio e/o artigianato; centri elaborazione dati per la comunicazione aziendale (Telemarketing); centri elaborazione dati per attività di mailing e publishing; centri elaborazione dati operanti come Internet Provider; centri elaborazione dati operanti per la fornitura di servizi commerciali o non fomiti per conto terzi in modalità on line (customer care); centri elaborazione dati operanti con fornitori di servizi a valore aggiunto per gli utenti in rete (Call – Center) e altri centri che operino in aree riconducibili alle precedenti declaratorie. Di seguito la tabella con gli importi.
































Livello Minimo
Quadro di Direzione 2.862,33
Quadro 2.601,30
1 2.233,38
2 1.999,49
3 Super 1.917,06
3 1.794,68
4 1.669,89
5 1.589,92
6 1.342,68

 

Fusione per incorporazione: l’incorporante può continuare a partecipare alla liquidazione IVA di gruppo

Nell’ambito di una fusione per incorporazione, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità per la società controllata di continuare a partecipare alla liquidazione IVA di gruppo facente capo alla società controllante a decorrere dalla data di efficacia dell’atto di fusione (Agenzia delle entrate, risposta  9 ottobre 2023 n. 445).

La procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo, disciplinata dall’articolo 73, ultimo comma, del Decreto IVA e dal Decreto ministeriale 13 dicembre 1979, ­consente alle società legate da rapporti di controllo e in possesso di specifici requisiti, di procedere alla liquidazione periodica dell’IVA in maniera unitaria, mediante compensazione dei debiti e dei crediti risultanti dalle liquidazioni di tutte le società partecipanti e da queste trasferite al gruppo. Di conseguenza, i versamenti periodici (mensili o trimestrali), nonché il conguaglio di fine anno, vengono effettuati dalla società controllante che determina l’imposta da versare o il credito del gruppo.

Tale sistema è volto ad agevolare, da un punto di vista finanziario, i gruppi societari che riescono a compensare le situazioni creditorie in capo ad alcune società con quelle debitorie di altre.

 

L’Agenzia delle entrate chiarisce che si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute per oltre la metà dall’altra, almeno dal 1 luglio dell’anno solare precedente a quello di esercizio dell’opzione, ai sensi del comma 3 del citato articolo 73; mentre, ai sensi dell’articolo 2 del D.M. del 1979, ­si considerano controllate soltanto le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice le cui azioni o quote sono possedute per una percentuale superiore al 50% del loro capitale, almeno dal 1 luglio dell’anno solare precedente, dall’ente o società controllante o da un’altra società controllata da questi.

Sono, pertanto, da ritenersi escluse dalla disciplina le società che solo occasionalmente e temporaneamente siano tra loro vincolate.

 

Tutto ciò premesso, nel caso di specie, la società controllante chiede se la controllata possa continuare a partecipare alla procedura della liquidazione IVA di gruppo, senza soluzione di continuità, nonostante abbia incorporato ­mediante atto di fusione società esterne alla suddetta procedura, di cui l’istante detiene il controllo (diretto e indiretto) da meno di un anno.

In merito, l’Agenzia osserva che i soggetti che partecipano per la prima volta alla liquidazione IVA di gruppo non possono far confluire nei calcoli compensativi della procedura in parola la loro eccedenza di credito derivante dal periodo d’imposta precedente, con la conseguenza che detta eccedenza resta definitivamente nella disponibilità del soggetto in capo al quale si è formata.

 

Come già chiarito con la risoluzione n. 92/E/2010, nel caso di incorporazione di una società esterna alla procedura di liquidazione IVA gruppo da parte di una società che invece vi partecipa ­in forza del principio generale secondo cui l’incorporante subentra a titolo universale nell’intero patrimonio dell’incorporata, l’Agenzia ritiene che il credito maturato dall’incorporata nell’anno solare antecedente l’incorporazione non possa mai confluire nell’IVA di gruppo, potendo unicamente essere utilizzato in compensazione orizzontale dall’incorporante, ovvero essere chiesto a rimborso al verificarsi dei presupposti.

Analogamente, non può confluire nell’IVA di gruppo il credito maturato dall’incorporata nel corso dell’anno in cui è avvenuta la fusione per incorporazione.

La società incorporante può far confluire nella propria liquidazione ­ e, quindi, trasferire al gruppo­ solo il debito o il credito derivante dalle operazioni compiute dall’incorporata nel mese o trimestre in corso alla data in cui ha effetto l’incorporazione, perché, non essendosi ancora conclusa la liquidazione periodica, le medesime operazioni devono essere considerate come compiute, ai fini IVA, direttamente dall’incorporante.

Il debito o il credito va, quindi, indicato nel modulo dell’incorporante e trasferito all’IVA di gruppo.

 

Ad avviso delle Entrate, dunque, la società incorporante può continuare a partecipare alla procedura della liquidazione IVA di gruppo, senza soluzione di continuità, non essendo l’operazione motivo di interruzione e può far confluire nella propria liquidazione periodica ­solo il debito o il credito derivante dalle operazioni compiute dalle incorporate nel mese in corso alla data in cui ha effetto ai fini IVA l’incorporazione.

Restano, invece, esclusi dalla procedura gli eventuali crediti IVA maturati fino al mese/trimestre antecedente la data dell’incorporazione delle due società.

Cassa Edile Lecce: borse di studio per i figli degli iscritti

Dal 1°ottobre previste borse di studio fino a 1.000 euro per i figli degli iscritti con almeno 500 ore nel corso dell’esercizio 2022/2023

I lavoratori iscritti alla Cassa Edile della provincia di Lecce possono presentare dal 1°ottobre la domanda per una borsa di studio finalizzata a premiare il merito scolastico o universitario dei loro figli.
Per poter presentare la domanda, il lavoratore deve risultare attivo in Cassa Edile con almeno 500 ore dichiarate nel corso dell’esercizio Cassa Edile, ossia dal 1°ottobre 2022 al 30 settembre 2023.
Vengono erogate le seguenti borse di studio:
– laurea magistrale o specialistica: 1.000 euro (min. 105/110);
– laurea triennale: 700,00 euro (min. 105/110);
– studenti universitari: 500,00 euro (min. 27/30 per tutti gli esami sostenuti sino al 30 settembre 2023);
– diploma maturità: 350,00 euro (min. 85/100);
– studenti media superiore: 250,00 euro (min. 8/10);
– licenza media inferiore: 150,00 euro (min. 8/10).
La domanda di assegnazione deve essere completata esclusivamente telematicamente, direttamente dal sito intranet della Cassa Edile della provincia di Lecce entro e non oltre il 31 dicembre 2023 e deve contenere la seguente documentazione: 
– certificato universitario attestante data conseguimento laurea e voto conseguito;
– documenti universitari o stampe, dal portale studenti della propria università, delle pagine attestanti i dati personali dello studente;
– certificato scuola attestante: voto ottenuto all’esame e studente non ripetente;
– certificato scuola attestante: voto ottenuto in ogni materia, l’assenza di debiti formativi, studente non ripetente;
– Certificato scuola attestante: voto ottenuto all’esame e studente non ripetente.

Contratti a termine e causali, arrivano le prime indicazioni

Il Ministero del lavoro ha illustrato le modifiche alla disciplina apportate dal Decreto Lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circolare 9 ottobre 2023, n. 9).

È stata pubblicata sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali la circolare illustrativa delle modifiche apportate dal cosiddetto Decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023) alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato. In particolare, il Ministero si è occupato del regime delle causali. Tuttavia, il Dicastero evidenzia, in primo luogo, che il provvedimento ha lasciato inalterato il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato che possono intercorrere tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore a 24 mesi, fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015; così come la possibilità di un’ulteriore stipula di un contratto a tempo determinato, della durata massima di 12 mesi, presso la sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (comma 3 del medesimo articolo 19).

Inoltre, non ha subìto variazioni il numero massimo di proroghe consentite – sempre 4 nell’arco temporale di 24 mesi – e il regime delle interruzioni tra un contratto di lavoro e l’altro, il cosiddetto stop and go.

Le condizioni per l’apposizione del termine 

Il Decreto Lavoro è invece intervenuto in modo significativo sulla disciplina delle condizioni (articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2015 e successive modificazioni), delle proroghe e dei rinnovi (articolo 21), nonché sulle modalità di computo dei limiti percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto di somministrazione (articolo 31). 

Per quanto riguarda l’articolo 19, al comma 1 sono state del tutto soppresse le condizioni in precedenza riferite:

– a esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività;

– a esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. 

A loro posto, con le nuove lettere a) e b) introdotte al comma 1 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2015, la riforma ha voluto valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva nella individuazione dei casi che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai 12 mesi, ma in ogni caso non eccedente la durata massima di 24 mesi, nel rispetto di quanto previsto dal comma 1 del medesimo articolo 19. 

In particolare, la lettera b) introduce anche la possibilità che le parti del contratto individuale di lavoro – in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi – possano individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro di durata superiore ai 12 mesi (ma ugualmente non superiore ai 24). Ai sensi di tale disposizione, il Ministero evidenzia che le parti individuali possono avvalersi solo temporaneamente di tale possibilità, entro la data del 30 aprile 2024, consentendo in tal modo alle Parti sociali di adeguare alla nuova disciplina i contratti collettivi sopra richiamati, le cui previsioni costituiscono fonte privilegiata in questa materia. Tale data, però, è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre il 30 aprile 2024. 

Come anticipato, con il comma 1-bis dell’articolo 24, il decreto-legge interviene, inoltre, a modificare l’articolo 21 del D.Lgs. n. 81/2015. Infatti, al comma 01 dell’articolo 21 viene disciplinato con maggiore uniformità il regime delle proroghe e dei rinnovi che, nei primi 12 mesi, possono adesso intervenire liberamente senza specificare alcuna condizione, mentre viene confermato l’obbligo delle condizioni previste dall’articolo 19, comma 1, per eventuali periodi successivi ai 12 mesi. 

Poi, con il comma 1-ter, aggiunto al testo originario dell’articolo 24 in sede di conversione del decreto-legge, si introduce una previsione che ha l’effetto di consentire ulteriori contratti di lavoro a termine privi di causale per la durata massima di 12 mesi, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore prima dell’entrata in vigore del Decreto Lavoro.

Infine, il comma 1-quater – anch’esso aggiunto all’articolo 24 in sede di conversione del decreto-legge – interviene a modificare l’articolo 31, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, sulla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, con l’obiettivo di superare alcune limitazioni per particolari categorie di lavoratori. In primo luogo, viene adesso previsto che ai fini del rispetto del limite del 20%, previsto dal primo periodo del comma 1, non rilevano i lavoratori somministrati assunti dall’agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato

Inoltre, sempre al comma 1 dell’articolo 31, viene aggiunto un nuovo periodo che esclude espressamente l’applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori, tassativamente individuate, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, numeri 4 e 99, del Regolamento (UE) n. 651/2014, come individuati dal D.M. del 17 ottobre 2017.

Infine, il Ministero precisa che la circolare n. 17/2018, adottata a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 87/2018, continua a trovare applicazione per le parti non incompatibili con le nuove disposizioni introdotte dal Decreto Lavoro e con gli orientamenti illustrati nella circolare in commento.